Verde per noi
Primo tempo: ritorno tra i monti
La scorsa settimana sono tornata a camminare in montagna dopo quasi due mesi di stop dovuti a un’infiammazione al ginocchio. Ho parcheggiato ai piedi degli impianti di risalita, ho indossato gli scarponi, ho attraversato due o tre piste da sci e mi sono inoltrata nel sentiero dentro al bosco.
Camminavo lentamente, per accertarmi che il ginocchio non tornasse a fare scherzetti, e per sondare la condizione della neve di fine marzo. Ho ritrovato il passaggio che qualche mese fa, sotto la neve fresca alta quasi un metro, mi aveva eluso. Ho sentito qualche bramito, e un attimo dopo un cerbiatto ha iniziato a sgambettare tra gli alberi allontanandosi da me. L’ho salutato senza risentimento, gli animali selvatici hanno ogni ragione di temere i bipedi umani.
Il pomeriggio era assolato, anche se un po’ velato, e la luce filtrava tra i rami ancora spogli. Sentivo solo il rumore dei miei passi, avevo abbastanza ore di luce per prendermela comoda, e assaporavo la misteriosa maestà solitaria della montagna. Non ho più visto anima viva per tutto il giro, ad eccezione degli uccellini e dei corvidi che frequentano le cime. Sono arrivata sotto il monte Spigolino, la sua vetta spiccava contro un cielo azzurro frastagliato di nubi alte e diradate da un vento di alta quota. La perfetta solitudine della montagna, la sensazione di essere ospite e dover prestare attenzione a quello che stavo facendo, insieme alla sensazione di essere in un certo senso a casa, mi hanno esilarato.
Secondo tempo: la Piccola Cassia a piedi e in bici
Due giorni dopo ho partecipato a una pedalata con la fondazione Silvia Parente, un’avanguardia nella promozione e nella pratica dello sport inclusivo. L’occasione era l’inaugurazione della bretella meridionale della Piccola Cassia, un weekend di bici e trekking per scoprire e promuovere questo cammino. La pedalata e il trekking si sono conclusi a Porretta Terme, con un ristoro e un evento ufficiale di presentazione del percorso.
Ho agganciato il folto gruppo dei tandem a Riola di Vergato. Vi ho trovato amici conosciuti al corso di formazione per accompagnatori della fondazione Silvia Parente, più molte facce nuove, ciascuno peculiare nella sua individualità ma tutti accomunati da una forza motrice più potente delle differenze e delle disabilità proprie o altrui.
Per una coincidenza organizzativa mi sono trovata a guidare parte del gruppo ciclistico nel tratto finale, dell’arrivo a Porretta Terme, nel reticolato di viuzze del borgo vecchio. Il primo dietro di me ha esitato davanti a un semaforo di non facile interpretazione, ma l’ho rassicurato che era verde per noi, e abbiamo proseguito fino al punto di ristoro.
Col passare delle ore ho incontrato o reincontrato altre persone accomunate dalla passione per la montagna, l’avventura, la scoperta, il movimento all’aria aperta. Mi si è addensata dentro una sensazione analoga, seppure così diversa, a quella di due giorni prima sul sentiero di crinale. Il senso di familiarità con la comunità di quelli che pedalano, di quelli che camminano, di quelli che vanno in ricerca. Non ho saputo dare un nome a questa sensazione, finchè al risveglio dell’indomani mattina non ho avuto un ritorno di cuffia delle parole che avevo detto davanti a quel semaforo stravagante: è verde per noi.
Terzo tempo: per chi è il verde?
È verde per le persone che scelgono il proprio cammino, invece di lasciarsi portare dalla corrente. È verde per le persone che nonostante le difficoltà, o le disabilità, o le tribolazioni quotidiane e globali, scelgono di andare a cercare un posto e una condizione che non si trova passivamente sulla propria strada. Non si trova un sentiero di montagna se ci si lascia portare dai doveri e dai pesi della vita quotidiana. Non si trova un’avventura in bicicletta con le discese ardite e le risalite, non si trova il piacere e il dolore della natura che nutre e mette alla prova.
È verde per chi inforca una bicicletta, o indossa un paio di scarponi, e fa un passo fuori dal solco scavato dall’abitudine, dalle aspettative sociali, dalle proprie ansie e preoccupazioni, e viene ricompensato con la beatitudine di un momento perfetto, nel quale avverte di far parte del flusso vitale che accomuna il regno minerale, animale e vegetale.
Sarebbe quello che chiamo un momento di serendipity, la ricompensa abbondante del cercatore, che quando è in sella alla bici si può anche chiamare serendibici.