Il giro delle meridiane e l’alchimia di SerendiBici

Bici con pieve antica

Esco presto di casa, il mese di giugno sta avanzando verso un’ondata di calura eccezionale, e anche se mi trovo in una località montuosa è facile trovarsi a percorrere chilometri sotto il sole e senza un filo di vento. Ho in programma di fare un giro di 45 chilometri, niente di esagerato, anche se il dislivello non manca e quindi sarà un discreto esercizio lo stesso. 

Mi dirigo verso est, per scendere verso la valle del Reno. Ho una lunga discesa di una dozzina di chilometri da percorrere. Si sta bene, non sono ancora le nove del mattino, ci sono poche macchine in giro. Pedalo pigramente nei tratti in piano tra le discese, più che spingere sui pedali mi sgranchisco le giunture e mi allungo un po’. Di solito la mattina faccio un po’ di stretching, ma stamattina ho saltato questa parte per passare direttamente alla bici. Ogni tanto fa bene cambiare la routine! 

Attraverso la piccolissima località di Susano, c’è forse una macchina che passa, ma resto vigile aspettandomi che possa sempre sbucare qualcuno. È importante allocare sempre uno slot di attenzione alla possibilità per quanto remota che soggiunga qualcuno all’improvviso. Quello che in quel momento non mi aspettavo però erano i cervi! Un adulto e un cucciolo sono a bordo strada, il grande attraversa di corsa, il piccolo (per così dire) sta per seguirlo, peccato che allo stesso momento sto arrivando anch’io a tutta velocità! Cerco di attirare la sua attenzione facendo rumori cliccanti con la bocca, gli stessi che uso in città con gli esseri umani; nutro l’illusione che siano abbastanza acuti da penetrare i rumori di fondo. Non so se per merito del mio avviso o del suo istinto, il cerbiatto interrompe a metà il suo slancio, restando un po’ incastrato nei cespugli con le corna. Scampato pericolo per me e per lui! 

Arrivata a Vergato percorro poche centinaia di metri sulla statale verso Porretta, e subito imbocco la strada che risale. La mia discesa è finita, e così pure la pianura. So che mi aspettano venti chilometri di salita, non omogenei ovviamente, altrimenti sarei sulle Alpi e non sull’Appennino emiliano! Non ho praticamente riscaldamento, quindi mi devo scaldare sulla salita stessa. E per fortuna che la prendo così con calma, perché inizia subito a strappare forte. Una serie di curve ripide, con un fondo stradale sconnesso, mi riportano in fretta a vedere tutto il paese sotto di me. 

Mi aspetto di annoiarmi per un paio d’ore su questa tediosa e lunga salita fino al crinale. Forse se sono fortunata sarà piacevole il centro di Pietracolora, ho visto la foto di una torre, e magari ci sarà un bar dove prendere un panino e una cosa fresca. Ma devo essere zen perché Pietracolora è ancora lontano. 

Dopo cinque chilometri della tediosa salita, bum!

La mia percezione cambia completamente. Mi trovo su un costone scosceso della montagna che guarda giù a precipizio, la placida valle del Reno da quassù somiglia a una avventurosa gola dolomitica. La strada resta pari sul lato della montagna, il panorama è aperto, ventilato, verde, coperto di gialle ginestre. Che spettacolo! Là sotto c’è il fiume, il ponte della ferrovia, dall’altro lato il mistico monte di Montovolo, e in fondo, sfumato dall’afa, il profilo del Corno alle Scale. Ah come certe volte andarsi a cercare delle strade nuove è premiante! Sono estremamente soddisfatta, e ben disposta a pagare il pedaggio di questo asfalto infido e rotto. 

Passare in località Castelnuovo lascia una sensazione spettrale. A dispetto del nome, il paese è in totale abbandono. Sembra un posto fantasma, e si potrebbe scommettere che la strada che lo attraversa non va che a chiudersi dentro al bosco. Scendo a balzelloni tra le crepe, e richiamo il mio spirito zen, ma di nuovo vengo premiata dall’alchimia di SerendiBici! Dopo la malinconia di Castelnuovo, e del suo bosco fantasma, appare un borghetto di pietra, ben disposto come un faro su una roccia che guarda lontano. 

Un cartello che indica un oratorio del decimo secolo mi fa fare un sobbalzo e stoppare il ciclocomputer. Decimo secolo! Qua in mezzo a questo bosco derelitto! Entrare nel borghetto è come fare un viaggio con la macchina del tempo, sembra di vedere la vita medievale che ancora sussurra tra i muri di pietra. Dichiaro a un tale che mi compare davanti armato di cesoie il mio stupore ammirato per questo gioiello nascosto, e lui è ben contento di deporre le cesoie e armarsi di chiavi per farmi visitare nel dettaglio campanile oratorio affrico. Insieme consideriamo il peccato che dei posti così speciali siano per niente conosciuti e valorizzati, e fantastichiamo un minuto sulla quantità di storia sepolta tra questi monti, teatro di secolari schermaglie tra Bologna e Pistoia. Il tale si raccomanda di buttare un occhio alla Rocca Pitigliana, che dovrei trovare sulla strada, e che secondo lui suggerisce la presenza una volta di un ponte levatoio. 

Questo giretto che doveva essere un semplice esercizio si è trasformato in una visita storico-culturale di tutto rispetto! Ne sono estremamente appagata e soddisfatta anche se l’ultimo tratto di questa mulattiera verso la provinciale è molestato da tafani e altre scocciature ronzanti. La mia velocità media è scesa a livelli irreparabili, ma ormai sono in modalità gita. Coerentemente, mi fermo a Pietracolora per fare il ristoro, perché vanno bene i borghetti medievali e la storia, ma sono due ore che giro col caldo e tutto. Due banane e un succo fresco diventano il mio gradito premio, e il mio carburante per terminare il tratto di salita verso la famosa Provinciale 623 del Passo Brasa. A questo punto il gioco è fatto, Castel d’Aiano è dietro l’angolo, e per non sbagliare mi fermo anche al supermercato per una mini spesa, che mi ingombra un tantino negli ultimi 7 chilometri, ma che mi consente di mangiare un panino per pranzo e completare la sensazione di vacanza. 

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